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I favolosi 80 di Paolo Pillitteri: “La festa? Sfursat e trippa. E no, non rimpiango nulla”

Fa 80 anni oggi, tanti auguri, Paolo Pillitteri. Nato nel 1940, giornalista, critico cinematografico, sceneggiatore e soprattutto politico, nella personale Smorfia di Pillitteri l'80 non è un numero qualunque.
Non può esserlo per il sindaco socialista che dal 1986 al 1992 guidò la Milano da bere al culmine dell'euforico decennio. Gli anni '80 ovviamente.
Pillitteri, che cosa berrà stasera per festeggiare?
"Quello che bevo ogni sera, Covid o non Covid. Non amari o drink complicati ma un bel rosso della terra materna, la Valtellina. Direi una Sassella, vino meditativo, o uno Sfursat ma solo se a tavola c'è formaggio. Risotto giallo l'ho mangiato ieri, mi piacerebbe della polenta taragna accompagnata con della trippa, la busecca come si diceva a Milano. Comunque no bollicine".
Per decreto non è periodo per far saltare tappi.
"La festa è nella voce di chi ami o pensi, non solo di chi ti sta accanto ma anche di chi ti chiama da lontano. Senza abusarne, telefono e messaggio parecchio in questo periodo, magari verso sera, per fortuna ricambiato. Da un lato per la curiosità di sapere cosa accade fuori, dall'altra per affetto. Mi succede così di risentire vecchie conoscenze e, confesso, di commuovermi. L'altro giorno si fa vivo un caro giornalista di Roma. 'Siamo lì lì con gli 80', mi fa. Ecco, con lui non ho pianto ma ho toccato ferro. Comunque in questo strano anno mi è tornato in mente un vecchio slogan. 'Il telefono, la tua voce'".
Slogan fu 'Milano da bere'.
"Slogan è riduttivo. Lo spot Ramazzotti, il video intendo, ideato come il claim dal rimpianto e geniale Marco Mignani, mostrava non la superficie ma l'anima di Milano. I monumenti, le donne che salgono sui taxi, i ghisa che si prendono un aperitivo. E la metropolitana, dove sottoterra viaggia lo spirito della città sempre nella stessa direzione: avanti. Mi manca molto un giro in metrò, ma mi manca pure un giro a piedi.
Purtroppo per ragioni di salute ho visto la città solo dall'auto negli ultimi mesi".
Che impressione le fa senza brindisi, cultura, turisti?
"È un po' vuota ma non del tutto, perché di auto ne vedo parecchie e i parcheggi continuano ad essere pochi. Ma al di là dei rilievi affettuosi a Sala, il buio e il silenzio che mi arrivano anche sul divano dalle finestre di via Marcona mi ricordano la città di piombo anni '70. È diverso per fortuna, ci si riprenderà presto, e però spero che così come negli anni '80 la moda, la pubblicità, le tv private, le agenzie di comunicazione crebbero per effetto della resilienza locale, così presto noi potremo trovare nuovi treni cui aggrapparci".
E intanto lei a cosa si aggrappa?
"Prima di tutto al lavoro. Ho la fortuna da casa di dirigere il quotidiano l'Opinione, per cui non sono l'anziano che rimpiange il bar o un cantiere da osservare. E poi scrivo. Ho appena terminato la sceneggiatura de 'La madre', la vera storia mai raccontata della mamma di Bettino Craxi, donna schiva schiacciata dalla fama del figlio. Quando durante la guerra era sfollata in Val d'Intelvi aiutò decine di ebrei a raggiungere la Svizzera".
Ma un dopo lavoro leggero no?
"Libri sempre, anche l'ultimo Vespa, zeppo di cronaca. È un genere che mi diverte. E tanta tv dove assisto finalmente alla rivincita del cinema. Sarà pure orfano delle sale ma sta riconquistando spazi. Sto sveglio fino alle 2 a caccia di gemme, in una settimana ho beccato 'A qualcuno piace caldo', 'Prima pagina' e 'Miracolo a Milano'".
Lunedì se vuole c'è l'insolita Prima della Scala su Raiuno.
"Non la perderò".
Il brano che le addolcisce la sera?
"Un classico francese, 'Non, je ne regrette rien' di Edith Piaf. No, no rimpiango nulla, nemmeno verso sera".Original Article

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