LIVERPOOL
«Perché mi chiede di John Lennon? Io conoscevo John. Solo John». Per Julia Baird, quel fratello così famoso erano due gemelli diversi: «John era il ragazzino che giocava e scherzava con me. Lennon la star del resto del mondo», uccisa a New York quarant’anni fa. «Ah, di questo non parlo». Ma perché? «Perché no!».
Il motivo è nel suo libro Imagine This. Io e mio fratello John Lennon (Giulio Perrone Editore, 2010): all’indomani dell’8 dicembre 1980, l’allora 33enne Baird, ex insegnante, giornalista e ora direttrice del Cavern, il leggendario locale dei primi concerti dei Beatles a Liverpool, apprende l’infausta notizia: «No. Dio, ti prego. Non un’altra volta. Non John». Sì, invece. Instant Karma. Una notte di pianti. «Nessuno mi contatta», continua Baird, «Yoko Ono non vuole parlarmi. Spengo la tv, la radio, tutto. Non ascolto nemmeno l’ultima intervista di John alla Bbc».
È l’ennesima tragedia della famiglia di John Lennon, dannata da lutti e drammatici addii. Julia Baird nata Dykins vive poco fuori la sempre ribelle Liverpool, oggi sopita dal lockdown e dai nostalgici menestrelli che cantano Imagine: persino la miniera creativa del Cavern ha rischiato di chiudere causa Covid. E Baird è l’anello di congiunzione di questa parata ferale come un lamento di Purcell: oltre all’assurdo omicidio di John Lennon, il padre di Baird, John “Bobby” Albert Dykins, muore in un incidente stradale nel dicembre del 1965.
Sua madre Julia Stanley Lennon, invece, il 15 luglio 1958 viene travolta e uccisa da un’auto appena uscita da 251 Menlove Avenue, la casa popolare dove John Lennon crebbe alla periferia di Liverpool. Ma la povera Julia Stanley è anche la madre di John Lennon, suo primogenito avuto precedentemente con l’usciere di albergo Alf Lennon, ma poi sottrattole dalla sorella Mimì (sua la casa di 251 Menlove Avenue) e dal padre George, poiché a cinque anni, quel bimbo gracilino e futuro messia della musica, «non può vivere nella casa del peccato». Perché Julia Lennon, prima di Dykins, nel frattempo ha un amante – Taffy Williams, soldato gallese – e da lui un’altra figlia Victoria, nel 1945. Mimì e il padre costringono Julia a sbarazzarsi anche della piccola, in adozione. Ecco, Julia Baird è l’intersezione di questi universi di dolore: lei e John sono figli della stessa madre. E da ragazzino, prima dei Quarrymen, dei Beatles e della gloria epocale, Lennon giocava, suonava e cantava con lei.
Solo lei, Julia, può raccontarci chi era John prima di diventare Lennon.
«Da bambino era praticamente recluso da zia Mimì (morta nel 1991, ndr). Compiuti 14 anni però veniva sempre più spesso da noi, a trovare nostra madre Julia. Io allora dormivo con mia sorella Jackie per fargli spazio. Eravamo bambini, mangiavamo dolci. Anni dopo, ci portava i suoi primi singoli, li ascoltavamo insieme. Ricordo che apprezzai molto Norvegian Wood o Please Please Me, ma quando nel novembre del ’62 si presentò con Love Me Do io esclamai: “Tutto qui?”. Scoppiammo a ridere. Ci divertivamo ma non era facile, soprattutto per John, senza un padre, e con una madre che non poteva vedere».
“Ingoio il mio dolore”, canterà John in “Jealous Guy”. Fu nella vostra casa a Blomfield Road che John iniziò a cantare e suonare?
«Sì, con mia madre, che gli insegnò il banjo. Mamma cantava sempre con noi in casa My Son John, To Me You Are So Wonderful, “figlio mio, per me sei così meraviglioso”. Aveva un grande talento artistico e quello era il suo grido di dolore, di una madre che non poteva essere madre».
Yoko Ono è stata la madre che John aveva sempre inseguito?
«Assolutamente sì. John aveva bisogno di una figura più matura che si prendesse cura di lui. Alla fine l’ha trovata. Ha chiamato Yoko Ono persino “mamma” prima di morire… Non è normale… in ogni modo, fino a quando John stette con la sua prima moglie Cynthia, tutti avevamo un rapporto ancora molto stretto. Poi, con l’arrivo di Yoko e il trasferimento in America nel 1971, i rapporti di John con me e il resto della famiglia si sono rarefatti, e quasi silenziati dal 1976, dopo la nascita del figlio Sean».
Poi non vi siete più parlati?
«Quando John lasciò Yoko in quel “lost weekend” scappando con la loro assistente May Pangea (1973-75, ndr), si rifece vivo. Allora anche Julian (figlio di Lennon e di Cynthia Powell, ndr) andò a trovarlo in America. John mi chiese delle foto…».
Quali?
«Quelle con me e nostra madre, e della sua gioventù. Poi una di lui 17enne con la divisa della scuola. Allora mica c’erano gli smartphone, simili ricordi erano pochi».
E John fu contento di riceverle?
«Moltissimo. Poi mi chiese anche dei vecchi vestiti, la cravatta della scuola e un orologio da tavolo lasciato a Liverpool. Per un po’ riuscì a riconnettersi col suo mondo perduto. Forse voleva tornare a casa. Fu un raggio di sole anche per me».
Ha rimpianti nel rapporto con suo fratello?
«Nessuno, a parte potergli dire buon compleanno un’ultima volta. Prima che morisse abbiamo anche discusso di nostra madre Julia. Solo mia sorella sa che cosa ci siamo detti».
Ma ora è in contatto con Yoko Ono e Sean?
«Con Yoko Ono ci siamo sentiti quando ci ha aiutato economicamente per salvare la nostra vecchia casa e poco altro. Con Julian ci sentiamo di frequente. Mentre Sean non ha voluto mai parlare con me e la mia famiglia. Mai».
Perché?
«Non lo so. Lo chieda a lui».
Qual è l’eredità di John oggi?
«La sua poesia immortale. Perché lui era un poeta, e la sua è autobiografia in musica. E poi Liverpool: lo spirito di John e dei Beatles non se ne andrà mai. Del resto, Paul McCartney ha ancora una casa qui e tutti ricordano George Harrison bere al pub senza nessuno che lo disturbasse».
Qual è la canzone che meglio rappresenta John?
«Watching the Wheels. Perché per il mondo della musica John era una mucca da mungere. Quel pezzo mi ricorda ciò che lui ha sempre inseguito: essere lasciato in pace, nel suo mondo. Essere libero».
Già, “I just had to let it go…”, ma qual è stata la più bella qualità di John sin da ragazzino?
«Un talento colossale, ma che riusciva a condividere con chiunque. Altri, con lo stesso talento, si tengono tutto per loro. John no. Anche quando non voleva».Original Article
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