Che cosa hanno in comune il sartù napoletano e gli arancini (o arancine) siciliani, il sushi giapponese, la paella spagnola, i dolmadakia yialantzì (involtini in foglia di vite) grechi, il makgeolli coreano, il budino peruviano, il pulao indiano? Sono tutte specialità a base di riso.
Forse il prodotto più globale: Europa o Americhe, Australia, Africa o Asia, non esiste un paese in cui non sia diffusa qualche varietà di riso. Cibo antico, nutriente, gustoso, che sia un primo piatto, come il tipico risotto del Belpaese, o una zuppa, che sia usato come contorno, come accade nelle culture anglosassoni, o al posto del pane, come nella tradizione orientale, dove addirittura diventa bevanda, come il sakè giapponese o il makgeolli coreano.
E proprio dall’Oriente sarebbero nati i chicchi di oryza sativa, precisamente in India dove da sempre è primaria fonte di sussistenza e dove ancora oggi le nonne raccontano ai bambini i miti e le leggende intorno alla sua origine.
Riso: la leggenda della fanciulla triste
La più romantica è quella che narra dell’incantevole fanciulla di nome Retna (“gioia raggiante”). Di lei si innamorò il dio Shiva, che decise di sposarla per rendere immortale la sua bellezza. Retna accettò la proposta di matrimonio, ma a patto che Shiva creasse un nuovo alimento, così buono da piacere a tutti e così abbondante da non mancare mai a nessuno. Il dio inviò i suoi emissari sulla terra per cercare un cibo che rispondesse alle richieste della ragazza. Ma questi si lasciarono distrarre da lussuria e divertimenti corrotti e dopo alcuni anni ancora non avevano una soluzione.
Shiva, stanco di aspettare, decise di far sua la ragazza anche contro il suo volere. E lei, oltraggiata e umiliata, preferì darsi la morte, gettandosi nel Gange. A quel punto il miracolo: sulle rive del fiume spuntò una piantina carica di chicchi bianchi-dorati: le lacrime di Retna si erano trasformate nel suo stesso desiderio, un cibo in grado di sfamare l’umanità.
Riso: un passato come medicinale
Dall’Oriente il riso arriva nel bacino del Mediterraneo nel 1300, attraverso la cosiddetta “porta del pepe”, lo scalo di Alessandria d’Egitto che nel Medioevo rappresentava il più grande emporio dei tre continenti allora conosciuti. Al suo arrivo in Europa è poco più di una curiosità, venduto come alimento di lusso, tra le spezie rare. Ma a poco a poco è diventato uno dei tasselli fondamentali della dieta mediterranea.
Così, da pianta officinale che lo speziale vendeva per infusi e tisane, si è imposto come alimento nelle classi meno abbienti. La sua diffusione è stata inarrestabile, tanto che gli storici hanno definito il riso “vegetale rinascimentale”, perché dal XIV al XVI secolo ha letteralmente ridisegnato il panorama di alcune regioni italiane, in particolare Lombardia e Piemonte.
Ma anche in anni a noi più vicini la sua coltivazione ha coinvolto tantissime persone, specie le donne impiegate come mondine, poi diventate protagoniste di conflitti sociali, musica popolare e cinematografia (ricordate Silvana Mangano nel film Riso Amaro, tra cori nei campi allagati, intrecci di amori e lotta di classe?).
Si ricorreva al lavoro delle mondine per eliminare le piante infestanti che possono danneggiare gli steli del riso. Lavoravano chine nell’acqua, che arrivava a metà gamba, per estirparle. Mentre oggi per lo più si interviene con prodotti fitosanitari (ovviamente innocui per l’uomo). Anche se resta un mestiere molto duro e necessita di grande competenza, in cui gli italiani sono veri campioni.
Riso italiano: come si coltiva
A partire dalle fasi di preparazione del terreno, che si svolgono tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, per poi passare all’immissione in risaia dell’acqua e, in tarda primavera, alla distribuzione dei semi sul terreno (con l’acqua che viene mantenuta a un livello di 5-10 centimetri). Ad agosto il riso muta colore da verde a giallo, fino a dorato in settembre. Da settembre a ottobre ogni giorno può essere adatto alla mietitura e trebbiatura. Ma è il coltivatore, un po’ come avviene per il vignaiolo con l’uva, che decide il momento giusto. Deve affidarsi alla sua esperienza, perché una raccolta precoce può nuocere alla qualità del prodotto.
Non a caso l’Italia è il maggior produttore europeo di riso, con in testa Piemonte e Lombardia, poi Veneto, Sardegna, Emilia Romagna e – molti magari non lo sanno – la Toscana, dove fin dagli anni ’60 si è scoperta l’enorme potenzialità della Maremma nella risicoltura.
La forza del riso italiano sta nella scelta di artigianalità, che riguarda ogni momento di vita dei chicchi: dalla cura dei campi, con mani esperte, piuttosto che diserbanti, che selezionano le piantine che ricoprono gli specchi d’acqua delle grandi vasche, al modo in cui il riso arriva sugli scaffali. La territorialità, insomma, è la forza di questo prodotto. Che rende il riso, da alimento di tutto il mondo, a cibo che parla italiano.
Risotto orgoglio della cucina nostrana
Se, infatti, in tutto il mondo si consuma il riso, solo da noi si cucina il “risotto”: il riso insomma è un prodotto, ma il risotto è una tecnica, base poi per tutte le ricette.
Che appartiene unicamente alla tradizione gastronomica d’Italia.
Soffritto (facoltativo), tostatura, brodo e mantecatura sono il suo segreto. Il riso di qualità è la conditio sine qua non per una ricetta perfetta.
Classificazione dei risi
Secondo la classificazione italiana, che si basa sulle dimensioni del chicco, si distinguono i seguenti gruppi:
Riso comune o originario: Si tratta di riso a grani piccoli e tondi, con poca resistenza alla cottura, adatto a minestre e dolci.
Semi fino: riso caratterizzato da grani tondeggianti di media lunghezza, dotato di buona resistenza alla cottura, adatto per esempio per timballi e supp
Fino: con grani medio lunghi e affusolate, piuttosto resistente alla cottura, indicato per risotti e contorni.
Superfino: riso con grani grossi e lunghi, molto resistente alla cottura, perfetto per risotti.
Tra i superfini si distinguono le varietà Volano, tra le varietà coltivate nel delta del Po, Baldo con struttura cristallina adatto anche per insalate di riso oltre che per risotti, Carnaroli di grande qualità e ottima tenuta di cottura, Roma dalla buona consistenza e capacità di assorbire i condimenti mantenendo i chicchi ben sgranati.Original Article
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