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Ci vorrebbe un Ulivo

Gentile Serra, la vittoria di Biden sembra suggerire che la candidatura di un moderato abbia aiutato a scalzare Trump dalla Casa Bianca; tuttavia sembra ingiusto sminuire l’apporto fondamentale dato dall’ala radicale del partito, elemento assente nell’era Clinton (e in quella Blair in Inghilterra). D’altro canto, un ritorno agli anni Novanta è assolutamente improbabile; come sottolinea Anthony Giddens, teorico della (mal interpretata) Terza Via, la pandemia impone una politica interventista, uno Stato forte, elementi che non era possibile rinvenire nella politica di trent’anni fa. E in Italia? Siamo un Paese a trazione “coalizionista”, anche per le antiche scissioni, come fa intendere Ezio Mauro sul Venerdì del 20 novembre (anche se parlare di dannazione per la nascita del Pci, devo dire, mi suona un po’ forte) soprattutto nell’ambito del centrosinistra; oggi tuttavia la frammentazione eccessiva e la distanza dalla militanza producono solo un’infinità di sigle, anche al centro (+Europa, Italia Viva, Azione), spesso per vanagloria di giovani leader attempati (Renzi, Calenda), oltre che a sinistra (Si, Mdp, Possibile, Verdi), per motivi sconosciuti persino ai fautori di detti partiti. Rimangono poche figure, emergenti o isolate, magari in secondo piano, che potrebbero mettere in connessione il “centro riflessivo” scomparso, i diritti sociali dei sempre più poveri, dei lavoratori dimenticati, i diritti civili dei nuovi italiani, delle nuove famiglie e le tematiche ambientali, vero fulcro di una rivoluzione ancora tutta da costruire. Sogno un campo progressista guidato da Letta, Schlein, Soumahoro, un tridente in grado di rappresentare la summa di contraddizioni e riflessioni che alcuni giornali ancora producono (Repubblica, Espresso) e che la politica, in special modo il Pd, a volte ascolta a volte no e spesso strumentalizza.
Fausto Aliberti
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Caro Aliberti, riformista è una parola di moda da molti anni, ma resta del tutto vaga fino a che non si capisce quali riforme, con quali maggioranze, per quali scopi. Un riformismo vago e remissivo, che incide quasi zero sulla realtà sociale ed economica, merita di chiamarsi moderatismo, che è tutt’altra cosa. Penso anche io che Biden, senza Kamala Harris e l’appoggio convinto della sinistra dem, non avrebbe vinto. Vale allo stesso modo il ragionamento contrario: senza la rassicurante pacatezza di Biden, la sinistra americana non sarebbe mai riuscita a battere Trump. È stato l’intero arco del Partito democratico e del suo elettorato a battere Trump, e chiedersi quale delle componenti sia stata decisiva è davvero inutile: lo sono state tutte – lo dice il buon senso, nonché la matematica – e lo sono state perché hanno lavorato insieme. Sogno anche io, per il nostro piccolo ma importante Paese, un campo progressista di coalizione, come fu l’Ulivo di Romano Prodi. Molto suggestiva e anche molto potente la sua idea di un tridente Letta-Schlein-Soumharo, ma temo che lo spirito di fazione, le invidie reciproche, il timore dei riformisti di compromettersi con i radicali, e dei radicali di contaminarsi con i riformisti, rendano impossibile, nei fatti, quello che sulla carta sarebbe un tentativo affascinante. La speranza, comunque, è l’ultima a morire.
Sul Venerdì del 4 dicembre 2020
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