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Brexit alla stretta finale, domani riprendono i negoziati fra la Ue e il Regno Unito

LONDRA – Il negoziato sulla Brexit ripartirà domani a Bruxelles per provare a raggiungere un accordo: è questo il risultato della video telefonata di oggi fra Boris Johnson e Ursula von der Leyen. La "pausa" nella trattativa annunciata dalle due delegazioni venerdì sera a Londra è dunque durata meno di 24 ore, dando l'impressione che servisse più a Regno Unito e Unione Europea per sembrare inflessibili con le rispettive opinioni pubbliche che per riflettere veramente se andare avanti o meno. Dal colloquio di sabato fra il primo ministro britannico e la presidente della Commissione Europea giunge insomma un segnale positivo: "Nella nostra conversazione abbiamo accolto con favore che ci siano stati progressi in molte aree", afferma un comunicato congiunto. "Ciononostante, rimangono differenze significative in tre campi. Pur riconoscendo la serietà di queste divergenze, abbiamo concordato che siano intrapresi ulteriori sforzi per vedere se possono essere risolte. Pertanto abbiamo dato istruzioni ai nostri rappresentati di riprendere i negoziati domenica a Bruxelles. Noi ci risentiremo lunedì sera".
Non significa che l'intesa sia fatta, ma potrebbe essere finalmente vicina, questione di 48 ore, quando una nuova telefonata fra Johnson e von der Leyen la annuncerebbe all'Europa e al mondo. In tempo per venire approvata al summit Ue di giovedì prossimo e ratificata dal parlamento di Strasburgo e dalla camera dei Comuni londinese prima del 31 dicembre, la data in cui finirà la fase di transizione e la Brexit, già realtà teorica dall'autunno scorso, lo diventerà anche in concreto.

“Pesca senza la Ue”. Nel porto che decide il negoziato Brexit

dal nostro inviato

Antonello Guerrera


Sullo sfondo si è vista per tutta la giornata una riedizione del vecchio conflitto franco-tedesco, un classico dell'Unione Europea, con il presidente francese Emmanuel Macron nella parte del "poliziotto cattivo" che minacciava la rottura e la cancelliera tedesca Angela Merkel in quella del "poliziotto buono" che esortava a concessione reciproche per trovare un compromesso. Sabato mattina una fonte di Downing Street ha dato l'accordo possibile soltanto "al 50 per cento". Ma pareva pretattica, nei confronti sia di Bruxelles, per ottenere di più, sia degli ultra-brexitiani di casa propria, per non essere accusati di resa. Più significativa la previsione dei bookmaker inglesi, che continuano a dare un accordo "all'80 per cento": in genere c'è da fidarsi degli allibratori.
L'accordo, raccontano i bene informati, è un librone di 600 pagine in cui è stato definito già tutto, tranne tre questioni: i diritti di pesca, le regole sulla concorrenza e la risoluzione di eventuali future dispute. La pesca è stata presentata finora come il problema principale, pur essendo probabilmente uno specchietto per le allodole: l'Europa chiede di lasciare immutate per dieci anni le quote riservate ai propri pescherecci, la Gran Bretagna risponde picche, ma come nota un funzionario a conoscenza della trattativa "è ovvio che ci si può incontrare a metà strada", cioè intorno a cinque anni. Tanto più che il settore vale appena lo 0,1 per cento del pil britannico. Più complicati gli altri due ostacoli, ma nemmeno quelli irrisolvibili.
Secondo il Financial Times, altri quattro o cinque Paesi europei avrebbero assunto la linea dura contro Londra, insieme alla Francia, tra cui l'Italia: ma il quotidiano della City sembra avere avuto un'informazione errata oppure ha frainteso, perché due fonti interpellate da Repubblica smentiscono che il nostro governo abbia cambiato posizione rispetto a quella di desiderare un accordo, sia pure non ad ogni costo, che è l'atteggiamento ufficiale della Ue.
Dopo tanti falsi allarmi, le prossime ore sembrano destinate a essere davvero decisive. A quattro anni e mezzo dal referendum popolare che sancì il divorzio del Regno Unito dall'Europa continentale, lunedì sera sapremo se i due "coniugi", pur divisi, continueranno ad avere almeno buoni rapporti: ossia non pagheranno dazi sulle merci attraverso la Manica. Beninteso, dal primo gennaio, anche con un trattato di libero scambio, cambierà molto, anzi moltissimo: ma almeno, in tal caso, si eviterà il "no deal", un'uscita senza accordi che sarebbe un danno ancora più grande per tuttiOriginal Article

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