Non ha ancora giocato la sua prima partita, ma Olivia ha già vinto. A partire da gennaio la bambina di 7 anni potrà frequentare il corso di calcio al centro sportivo Roma Uno, nel cuore di Trastevere. La società sportiva comunale ha infine fatto marcia indietro sull'infelice decisione di averle negato l'iscrizione solo perché femmina. “Finalmente potrò far vedere a tutti come sono forte”, dice Olivia, che in protesta ha continuato a recarsi ogni lunedì all'allenamento, le manine aggrappate all'inferriata che cinge il campetto, lo sguardo gelido diretto all'allenatore e ai suoi piccoli allievi (maschi). Bambini che lei conosce: con loro Olivia gioca la domenica in piazza San Cosimato.
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Ma prima ancora della soddisfazione di potersi finalmente allenare coi suoi amichetti, ciò che la riempie di orgoglio è l'aver tenuto il punto su una questione di principio, messa nero su bianco nella lettera inviata qualche settimana fa a Repubblica. “So che il calcio è un gioco da fare tutti insieme – scriveva Olivia – e giustamente ho il diritto di farlo anch'io”. È soddisfatto anche il mister, che fin dall'inizio di questa vicenda si era dichiarato contrario alle scelte fatte dai vertici del centro sportivo. Lo conferma anche la madre di Olivia: “Allenare una squadra mista di bambini è un valore aggiunto. Non sono stata l'unica mamma a chiedere di iscrivere una femmina al corso di calcio negli scorsi mesi – spiega – e sono certa che ora che la scuola ha 'aperto' arriveranno altre bambine”.
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Olivia, con la sua caparbietà, è divenuta un simbolo. La sua lettera accorata, la sua ostinazione verso una scelta inspiegabile (ancora più grave da momento che il fratellino è iscritto regolarmente al corso) ha generato un'ondata di solidarietà tra le calciatrici d'Italia. La prima a scendere in campo è stata Stéphanie Öhrström, portiere della Fiorentina nella serie A femminile, che ha coinvolto tutta la squadra in suo sostegno. Poi sono arrivate le ragazze del Napoli, con Federica Di Criscio e Eleonora Goldoni, rispettivamente difensore e attaccante, che a Olivia hanno dedicato parole toccanti. “Sei una donna, e per le donne la strada per il paradiso non è certo confortevole come l'erba sotto gli scarpini, anzi è lastricata di discriminazione”, ha scritto Di Criscio su Instagram. Olivia ha letto ogni commento, ogni racconto, scoprendo si non essere la prima (e probabilmente nemmeno l'ultima) bambina vittima del pregiudizio che il calcio sia cosa da maschi.
E ancora, si sono messe in contatto con la famiglia le squadre femminili della Roma, Empoli e Hellas Verona: tutte vogliono regalare una maglia firmata alla bambina, e c'è da scommettere che Olivia le sfoggerà con aria di sfida durante gli allenamenti al campetto di Roma Uno. Ma non finisce qui. Il tam tam ha attivato la giornalista Alessia Tarquinio, tra le prime sostenitrici delle donne nel calcio, che su Instagram ha ripreso la vicenda, lanciando un hashtag #sonoolivia, e mobilitando l'intera Nazionale femminile con Sara Gama, Alia Guagni e le altre Azzurre, tutte unite in nome della bimba. E c'è pure chi le ha proposto di frequentare altre scuole della città. “Ma io non voglio andare da qualche altra parte – spiega Olivia – io voglio giocare nella scuola calcio sotto casa mia, con gli altri bambini della piazza. Per ora voglio divertirmi. Poi se deciderò di fare la calciatrice andrò in una squadra femminile”. Una richiesta così normale. Che però, Roma Uno, non ha compreso, nemmeno adesso. Perché per loro – almeno per il responsabile, Roberto Attanasi – la stortura non sta nel fatto che un centro comunale neghi l'iscrizione a un qualsiasi sport per questioni di genere. Il problema, per loro, sta proprio nel fatto che una bambina, una sola bambina, chieda di giocare in un gruppo maschile. Olivia ha vinto la battaglia, ma la guerra si prospetta ancora lunga.Original Article
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