Per tanto tempo si è discusso sul romanzo di Palermo, la ricerca di una narrazione che racchiudesse in qualche modo la città e le sue espressioni, ma Palermo il suo romanzo, criminale e rosa insieme, ce l’ha in carne e ossa ed è Letizia Battaglia con la sua vita rocambolesca, ricca di deviazioni e colpi di scena. E ora che la vita della Battaglia, benché travolta dalle polemiche sulla campagna Lamborghini, è anche un libro, un’autobiografia accompagnata da una lettura critica sulla sua arte della giornalista Sabrina Pisu (che firma anche un’intervista al sindaco Orlando), uscito per Einaudi con il titolo “Mi prendo il mondo ovunque sia. Una vita da fotografa tra impegno civile e bellezza”, sarà ancora più facile cogliere la storia che tiene avvinghiate, tra la morsa e l’abbraccio, la fotografa e la sua città.
C’è tutto: le macerie e la fame dopo la seconda guerra mondiale, le famiglie borghesi con ambizioni aristocratiche, gli amori, le passioni, Palermo centro importante per la psicoanalisi, c’è la fuga a Milano e in controtendenza, mentre tutti andavano via, c’è la scelta di guardare negli occhi, dietro l’obiettivo, l’orrore dei morti ogni giorno, del giornale L’Ora, delle Edizioni della Battaglia. Ma è anche la storia della Primavera di Palermo, dei Verdi, di un periodo in cui tutto sembrava possibile e dove è iniziato un cambiamento che poi avrebbe dato i suoi frutti molto tempo dopo. È la Palermo del Teates, dei Cantieri culturali, del Gruppo ’63, di Michele Perriera e di Mezzocielo. È la Palermo di oggi, del Centro Sperimentale di fotografia e di un credito che forse ancora Letizia e le sue fotografie devono ancora riscuotere.
Comincia con una dedica “a Leoluca Orlando e alle bambine di Palermo”, le due inestinguibili passioni della Battaglia: la seconda è quella che continua a vivificare con la sua fotografia fino alla recente, e per alcuni controversa, campagna per la Lamborghini nella quale ancora una volte le “bambine di Palermo” sono in primo piano, anteposte all’obiettivo commerciale; la prima invece oggi suona beffarda, dopo la richiesta del sindaco di far ritirare la campagna e l’intenzione della Battaglia di lasciare da gennaio la direzione del Centro internazionale di fotografia.
Nel libro la parte autobiografica trabocca di passione, con toni teneri, quasi pudici nonostante l’irruenza di una donna che, in 85 anni di vita, non ha fatto altro che ricercare e conquistare libertà. Per tutti.
Con una prima persona vivace e aggraziata, la Battaglia racconta la sua vita a partire dal matrimonio della madre, dalla “ fuitina” che lei stessa compirà a 16 anni e che resta immortalata nella foto del suo matrimonio, il 22 novembre del 1951, con Franco Stagnitta, il padre delle sue tre figlie ( Cinzia, Angela poi Shobba, e Patrizia): « Mia madre mi regalò un cappello e questa immagine la porto con me: io, signora a sedici anni, con questo grande ed elegante cappello, del grande stilista Jaques Fath. E ogni volta che rivedo questa fotografia mi faccio una profonda tristezza. Io, bambina, e quel cappello».
Letizia giovane madre e moglie inquieta che vuole sfuggire alla vita borghese della Palermo bene, che corre con il sulky all’ippodromo con il pericoloso cavallo Iro, le fughe dopo mezzanotte in Vespa per i vicoli con l’inseparabile amica Marilù, insieme alla quale fonda l’associazione culturale A.C. dove una sera si evitò il verbale della polizia solo perché c’era Ornella Vanoni. Letizia paziente esemplare dello psicanalista Francesco Corrao, al quale arriva dopo essersi sottoposta a un’inefficace cura del sonno. L’amore per Santi Caleca, il matrimonio che finisce e la fuga a Milano con le figlie, l’inizio di una carriera da fotografa a scattare per Abc, dove le sue foto non sono ritenute sufficientemente erotiche, l’autunno caldo milanese con Dario Fo e Franca Rame in prima linea e soprattutto il suo amato Pier Paolo Pasolini. E poi la chiamata de L’Ora come prima donna a dirigere il settore fotografico di un quotidiano e da qui tutto. Tutto quello che si conosce: il suo obiettivo è quello che racconta gli anni atroci di Palermo, dal tenente colonnello Giuseppe Russo a Pier Santi Mattarella, è lei che si ritrova a scattare tra il sangue, insieme all’amore forse più importante della vita, Franco Zecchin, suo compagno per oltre venti anni.
Ci sono le storie di via Pindemonte, della Real casa dei matti dove Letizia porta un gruppo punk talmente fuori di testa da far dire agli ospiti « Ma questi sono matti! » , l’avventura nei Verdi, il sindaco Orlando e l’assessorato alla Vivibilità urbana con un solo obiettivo: fare. «Questo per me era antimafia: fare qualcosa di bello per la città » . E il fare di Letizia è continuo, prendere, spazzare, aggiustare, piantare, piuttosto che aspettare di avere un piano: agire. Come quando rubarono una maschera barocca da un palazzo della Vucciria e lei passò un’intera giornata a gridare per i vicoli contro tutto e tutti e il giorno dopo i ladri pentiti restituirono il bottino.
Un fare continuo sempre con la macchina appesa al collo pronta a scattare tutto eccetto ciò che è troppo doloroso: «Le foto che non ho fatto sono quelle che mi hanno fatto più male», dice riferendosi alle stragi di Capaci e via D’Amelio.
Tra le pagine di questa vita che oggi sprizza ancora energia e sembra spinta da nuovi amori, Palermo è un amore senza pietà. Un libro da leggere per conoscere chi c’è dietro gli scatti della storia di questa città, ma anche per comprendere meglio la città stessa e quello scarto tra il dire e il fare che potrebbe fare la differenza.Original Article
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