Immaginate non ci fosse stata la pandemia. Pensiero stupendo, che porta con sé il rimpianto per il carico di lutti, privazioni e sofferenze che sta infliggendo. Ma provate a pensarci anche per un aspetto secondario rispetto alla grandezza di quei mali: senza pandemia, che ne sarebbe oggi del governo giallorosso? A questa domanda bisogna onestamente rispondere per capire lo stato di salute del nostro esecutivo.
La verità è che senza l'emergenza Covid i limiti del Conte bis sarebbero già da tempo esplosi e la paralisi politica della maggioranza che lo sostiene sarebbe evidente e innegabile. La lotta al Covid ha dato al governo un'agenda, un ritmo, un attivismo forzato che ha coperto lo stallo in cui sarebbe precipitato in mancanza della lotta al nemico che ha, giustamente, monopolizzato l'azione. Bene o male, questi dieci mesi di stato d'eccezione hanno dato un senso, uno scopo a questa stagione giallorossa. Anche l'unico grande cantiere aperto – la costruzione del Recovery Plan per accedere ai fondi e ai prestiti garantiti dall'Unione – è figlio delle condizioni straordinarie che ci troviamo a vivere. Poco male, direte voi, ognuno governa il tempo che gli è dato di vivere pagandone il dazio e sfruttandone le opportunità. Ma sono proprio i ritardi nella costruzione dei piani per usare quei soldi europei a svelare quanto grave e drammatica sia l'impasse delle forze di maggioranza e, soprattutto, a dimostrare che queste difficoltà pesano eccome sull'efficacia della lotta alla pandemia appena questa si allontana dal varo delle misure strettamente sanitarie.
Fuori dallo spartito dei Dpcm e delle trattative su chiusure e riaperture, tutto rallenta e si impantana. La vicenda Mes è la prova regina: non ci fosse stata la disputa sull'utilizzo del cosiddetto Mes "sanitario", il governo sarebbe oggi davanti all'evidenza di non avere una maggioranza sulla semplice riforma del Mes "originale". Il fatto che parte della maggioranza cerchi di legare le due questioni aiuta a mascherare la situazione di base: i giallorossi non hanno nemmeno i numeri in Parlamento per dare mandato a Conte di firmare la semplice riforma. Oppure prendete il caso della proposta di patrimoniale sopra i 500 mila euro avanzata da parte di Leu e del Pd e respinta con forza dai vertici dei Dem, Movimento 5 Stelle e Italia viva. Tutti felici. Ma respinta in nome di quale alternativa? Esiste o no la necessità che il governo si ponga il tema di come reperire risorse senza che tutto sia affidato al debito o alla manna di Bruxelles? Se la risposta è sì, quali sono le idee messe in campo fin qui? Nessuna. Anzi, una: il cashback sui pagamenti elettronici e la lotteria degli scontrini.
L'elenco dei dossier parcheggiati a Palazzo Chigi o nei ministeri in attesa di soluzione è lungo e imbarazzante. C'è la politica industriale: Ilva, Alitalia. Il caso Autostrade. Il caso Mps. Le riforme istituzionali sono un altro capitolo doloroso. I tre quarti della maggioranza hanno chiesto agli italiani di votare sì al taglio dei parlamentari promettendo che a questo primo passo sarebbero seguiti altri e coerenti interventi per evitare che la Costituzione e le istituzioni restassero sciancate da una riduzione senza contrappesi. Risultato: il tavolo delle riforme è il più sgangherato e surreale di tutti, da qualche settimana si riunisce solo per prendere atto che non riesce ad andare in alcuna direzione. Chi vuole la fine del bicameralismo e chi no; uno vuole il superamento del titolo V e l'altro si incatena; i gialli dicono A e i rossi Z mentre gli arancioni si pongono a debita distanza dagli uni e dagli altri. Se non ci fossero il Dpcm di Natale e le piste da sci e i cenoni e gli spostamenti tra Comuni e l'ermeneutica del congiunto a distogliere lo sguardo da questo disastro, a tutti – protagonisti compresi – sarebbe chiaro che il capolinea non è lontano. E dal capolinea non si esce con un vaccino.
Il personale è politico
Piccola chiosa al caso Boldrini-Feltri
Un breve e ultimo ritorno sulla questione che tanto ha diviso l'opinione pubblica (e anche i lettori di Hanno tutti ragione)
Sono in tanti a ritenere che Mattia Feltri avrebbe dovuto pubblicare il post che Laura Boldrini voleva pubblicare sul suo blog ospitato dall'Huffington Post. Opinione rispettabilissima. Ho dedicato lo scorso numero della newsletter a spiegare perché, a mio giudizio, Feltri avesse facoltà di non pubblicare e, soprattutto, ad argomentare su quanto ingiusta fosse la campagna dei molti accorsi a presentare quella sua scelta come una forma di censura o come complicità con le tesi espresse dal padre Vittorio Feltri sul famigerato stupro di Milano. Solo un'ultima considerazione: ho visto usare la vecchia affermazione "il personale è politico" a sostegno della tesi di Boldrini. Vorrei solo dire che la verità di quello slogan, nato a sinistra quando si voleva denunciare la frequente pratica di pubbliche virtù e vizi privati (furono proprio le femministe a usarlo assai, per deplorare quanto certi sedicenti rivoluzionari diventassero fior di reazionari tra le mura di casa), spinge in direzione opposta: a rimarcare quanto è importante mantenere uno stile e una condotta capaci di non trasformare in campagna politica in un atto di ineleganza privata.
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