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Grosjean: “Mi sono rilassato e ho pensato di morire. Ma non volevo finire come Lauda”

Ventotto secondi soltanto, per passare dalla morte alla vita. E ripassare tutto quello che è passato, che potrebbe essere, o che andrà perduto. 28 secondi soltanto, ma il tempo è davvero relativo: "A me sono sembrati molti di più, almeno un minuto e mezzo". Anche a noi e a tutto il mondo che ha guardato il terribile incidente al primo giro del Gran premio del Bahrain di domenica scorsa e dal quale è uscito miracolosamente vivo Romain Grosjean. La sua macchina si è spezzata in due andando contro le barriere e si è incendiata. Dal momento dell'impatto all'immagine del francese, 34 anni, che usciva dalle fiamme sulle sue gambe, il piede sinistro senza scarpa, sono passati solo 28 secondi.

F1, Hamilton vince anche in Bahrain. La Haas di Grosjean si spezza in due e prende fuoco, pilota illeso

di

Alessandra Retico


"Io un eroe? No i medici che salvano le vite lo sono. Se torno in macchina ad Abu Dhabi la settimana prossima? Vorrei, magari per chiudere la carriera passando un traguardo meno drammatico di quello di domenica scorsa. Ma se non mi riesce, ne avrò altri da attraversare nella vita. Se torno in auto so che i miei familiari pensano che lo faccio per egoismo. Il fatto è che non è importante quello che mi è successo e quello che ho attraversato, visto che è il mio lavoro, ma se c'è una cosa che mi fa male, che mi fa piangere, è far soffrire loro".
Cosa passa nella mente di un uomo imprigionato nelle lamiere e avvolto nel fuoco? "Di non finire come Niki Lauda, il mio pilota preferito. Eppure per un momento mi sono sentito così rilassato, così in pace con me stesso, che ho pensato di poter morire. La morte l'ho vista e gli ho dato un nome: Benoit, non chiedetemi perché, ma avevo bisogno di darle un nome". Forse per scacciarla: "Perché subito dopo ho pensato: non posso morire oggi, per questo ho provato a uscire, sono sopravvissuto pensando ai miei figli che non meritavano di perdere il loro papà". Sasha, 7 anni, Simon, 5, Camille, 3.
Le mani fasciate per le bruciature subite, leggermente zoppicante, Romain ci racconta adesso sorridente, quel frangente lungo come l'esistenza in videoconferenza dal Bahrain, dove il pilota della Haas è tornato nel paddock per farsi vedere e ringraziare tutto lo staff della federazione che lo ha aiutato e i colleghi per dare prova della sua sopravvivenza, "Quando la macchina si è fermata, ho aperto gli occhi e mi sono subito slacciato la cintura di sicurezza. La cosa che non ricordavo è cosa ho fatto con il volante perché non ricordo di averlo tolto. La squadra mi ha detto di no, lo sterzo era entrato tra le gambe, si è rotto ed è scivolato giù. Non dovevo preoccuparmene, quindi ho provato a saltare fuori. Ma sentivo che qualcosa mi toccava la testa, così mi sono seduto di nuovo in macchina e il mio primo pensiero è stato: aspetterò, qualcuno arriverà ad aiutarmi". Ma Romain, rimasto cosciente, non si accorge subito che attorno c'è il fuoco e lui è avvolto nelle fiamme. La visiera e il casco hanno retto, ma le pellicole della visiera si sono sciolte". E fuori è buio.
E anche dentro. "Vedevo del rosso ma pensavo al tramonto o alle luci della pista. Ma poi girando la testa a sinistra e destra, lo vedo il fuoco. Allora capisco che non posso aspettare. Mi muovo, ma mi sento bloccato, mi risiedo sul sedile e il mio corpo inizia a rilassarsi. È stato il momento meno piacevole, mi sentivo in pace con me stesso e ho pensato che stavo per morire. Mi sono chiesto: sarà doloroso? Da dove inizierà il dolore? È li che mi sono scosso, non so perché ma ho girato il casco a sinistra, sono salito e ho provato a girare la spalla che infatti è uscita dall'Halo. Ma avevo il piede sinistro bloccato sotto il pedale. Ho tirato più forte, il piede è venuto via e la scarpa è rimasta lì dentro".

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Ma lui è fuori. Con le mani che cominciano a bruciare: "I miei guanti sono normalmente rossi ma mi accorgo che, soprattutto quello sinistro, cambiano colore, iniziano a sciogliersi e a diventare neri. Sento il dolore sulle mani, ma sono fuori. Salgo sulle barriere e sento il medico Ian Robert che mi tira la tuta. Capisco che c'è qualcuno e che sono salvo. Anche se penso di essere avvolto in una palla di fuoco come in un video che la federazione ci ha fatto vedere in un test". Non è così, Grosjean è spento ma vivo. "Mi tolgo subito i guanti perché temo che la pelle si stia sciogliendo e che si attacchi ai guanti. Dico di avere le mani bruciate e un piede rotto, il dolore era forte".
Tutti vedono quelle immagini, mandate a ripetizioni sugli schermi. Romain ci pensa alle telecamere, tanto che rifiuta di andare subito sulla barella, vuole camminare sostenuto dai soccorritori per avvisare il mondo, e specialmente i suoi familiari, che è salvo. "Credo che dal punto di vista medico non sia stata la decisione ideale, ma hanno capito che per me è stato fondamentale. Avevo bisogno di mandare un altro messaggio forte. L'insistenza dei replay? Non sono contro, è servito a testimoniare che ero sopravvissuto e poi la F1 ha le sue esigenze, anche quella di far vedere che quello che accade non è un fake, non è immaginazione, il mio incidente era sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Questa è la storia completa dei 28 secondi. Come potete capire, a me sono sembrati molti di più, con tutti i pensieri che avevo".
E che ha e di certo avrà. "Il corpo recupererà. Io ho una soglia del dolore molto alta, non l'ho detto a nessuno ma quest'anno mi sono rotto il braccio destro scivolando a casa sul pavimento della cucina. Mentalmente, vengo seguito da una psicologa già da 8 anni e anche in questi giorni stiamo parlando per agire in fretta ed evitare le tipiche conseguenze post traumatiche, flashback e cose del genere. Quanto a tornare a correre, non sarà la gara di Abu Dhabi a cambiarmi la vita ma il fatto che sia in grado di vivere il resto della mia vita in modo normale". Con la moglie Marion, andata la notte dell'incidente ad Abu Dhabi, e i tre figli. "Solo quando è arrivata e mi ha abbracciato ha capito che ero davvero vivo. I miei figli mi mandano messaggi tutti i giorni: il maggiore, Sasha, era preoccupato che rimanessi tutto bruciato, Simon ha spiegato ai suoi compagni di scuola tutta la dinamica dell'incidente, Camille è ancora piccola e mi manda baci. Per loro sono un supereroe".
Anche per molti altri. "Ma non è così, l'Halo, la protezione cui ero contrario, mi ha salvato e gliel'ho detto al presidente Jean Todt, solo gli stupidi non cambiano idea. Ne abbiamo parlato anche con i colleghi che mi sono venuti a trovare in ospedale già domenica notte, Kevin Magnussen, Sebastian Vettel, Alex Albon, Esteban Ocon. E poi in quel momento mi ha guidato un istinto di sopravvivenza e un modo di agire matematico. Mi ha salvato il fatto di essere rimasto lucido, senza panico, ed è un insegnamento che mi porterò dietro per il resto della mia vita e che vorrei rimanesse come lezione per il futuro, sono pronto ad aiutare la federazione e chiunque altro per migliorare questo aspetto per la sicurezza come molti altri, per esempio nel fare guanti che lascino agilità alle mani ma che siano più resistenti. Ma quanto all'estrazione dall'abitacolo, io sono il re, spero che mi esenteranno dai test in futuro". Perché in futuro, adesso, c'è addirittura la vita: Romain non ha un sedile per la prossima stagione "Non ho ancora deciso cosa farò, si era parlato di IndyCar, ma vediamo come va. Se non tornerò mai più in macchina, vorrà dire che andrò in bici, faro kite surfing, starò con i miei figli. Una vita normale non la faccio da quando sono ragazzo". 28 secondi prima di tutto questo.Original Article

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